Mario Draghi e Janet Yellen contro il protezionismo di Trump

La ripresa economica in Europa è presente e continua ed il quantitative easing ha funzionato molto bene. Queste le parole di Mario Draghi presso il meeting di Jackson Hole con i suoi pari provenienti da tutto il globo. Ma chi si aspettava indicazioni diversa da quelle passate è rimasto molto deluso.

Il governatore della BCE è irremovibile: l’inflazione non è ancora vicina al target del 2% e per questo l’istituto deve muoversi con cautela prima di rimuovere gli stimoli di politica monetaria messi in campo contro la crisi. E soprattutto, in pieno accordo con il numero uno della Fed Janet Yellen  mette in guardia dai rischi del protezionismo, una delle cause maggiori di crisi economica mondiale. E non è difficile notare come ovviamente entrambi si rivolgano a ciò che Donald Trump sembra intenzionato a fare.  E’ importante, secondo i due esperti, non riaccendere “gli incentivi che hanno portato alla crisi“, sottolineando che le regole permissive in alcuni casi sono “totalmente inopportune“.

Janet Yellen dal canto suo ha difeso fortemente la riforma di Wall Street, respingendo seccamente le richieste del presidente americano volte ad un “allentamento” delle regole. Si è resa protagonista di un vero e proprio attacco alla politica trumpiana mettendo in campo i numeri: una scelta che potrebbe costarle il suo posto il prossimo 3 febbraio.

Mario Draghi ovviamente nel suo discorso ha inserito anche il protezionismo europeo tra i possibili problemi. Ed ha spiegato:

Uno dei temi che l’economia globale si trova ad affrontare è se il trend verso una maggiore apertura dei mercati che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni si sta avvicinando alla fine. Le barriere commerciali sono aumentate, passando dal coprire l’1% dei prodotti nel 2000 all’attuale 2,5%, con la crisi che ha accelerato. Una maggiore cooperazione multilaterale in grado di rispondere ai timori di sicurezza ed equità [potrebbe aiutare]. Incoraggiando una convergenza delle regole, è possibile proteggersi dagli effetti non graditi dei mercati aperti. E la “protezione” assicura il non scivolare nel “protezionismo”

 

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