Petrolio, giusta la mossa di Biden?

Il caro energia è una delle problematiche più importanti che l’intero mondo sta affrontando in questo momento e il presidente statunitense Joe Biden, onde evitare possibili ripercussioni sull’andamento della crescita del proprio paese ha deciso d’immettere sul mercato 50 milioni di barili di petrolio dalle proprie riserve strategiche.

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Ryanair: crisi e petrolio penalizzano low cost

 La compagnia low-cost Ryanair annuncia risultati in netto calo per il Q1 2012. La perdita registrata nel primo trimestre raggiunge i 98,8 milioni (-29%). Per il CEO di Ryanair, Michael O’Leary, il sensibile declino registrato dal gruppo è dovuto alla recessione europea, alle misure di austerità, unitamente alla crescita della sterlina nei confronti dell’euro e al rincaro dei prezzi del petrolio.

Egli ha tuttavia annunciato, che verranno create entro la fine dell’anno nuove basi (la 51esima a Maastricht, sarà inaugurata nel mese di dicembre), suggerendo che il low cost ha significative opportunità e margini di crescita in Europa. Ryanair continua a vedere il futuro in rosa, confermando il suo obiettivo di 400 milioni di euro (o più) per il corrente anno fiscale (che termina a fine marzo 2013).  Ricordiamo che il suo rivale easyJet ha annunciato la settimana scorsa ricavi in crescita del 10,5% nel secondo trimestre, con più di 16 milioni di passeggeri.

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Petrolio: nuovi oleodotti anti Iran

 Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno aperto nuovi oleodotti bypassando lo Stretto di Hormuz, la cui importanza geopolitica è tale che Cyrus Vance, ex segretario di stato americano, l’ha definito “la vena giugulare del West”. Lo stretto,  la cui costruzione era iniziata il 18 marzo del 2008 ed è stata completata alla fine dello scorso mese, rappresenta infatti  la corsia di trasporto che l’Iran ha ripetutamente minacciato di chiudere. Da qui passa il petrolio estratto negli Emirati, in Iran, in Irak, in Kuwait. La mossa rischia di ridurre il potere di Teheran sui mercati petroliferi.

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BP verso cessione quota TNK-BP

 Il piano di BP per raccogliere quasi $ 40 miliardi mediante il sell off degli assets ritenuti in eccesso rispetto al fabbisogno, ha ricevuto un nuovo impulso. Cosa accadrà al pacchetto azionario del gigante petrolifero britannico in TNK-BP, la sua joint venture russa?

In primo luogo, il colosso energetico britannico ha annunciato un accordo con la società statunitense Energy LINN per alcuni dei suoi vecchi giacimenti di gas situati nel Wyoming,  USA, il secondo di questo tipo siglato con LINN, a cui BP ha venduto una serie di asset del Kansas, nel mese di marzo. BP ha inoltre dichiarato di aver accettato di vendere quote di minoranza in due giacimenti del Mare del Nord britannico alla giapponese Mitsui & Co. Tali accordi permetteranno a BP di realizzare un profitto pari a $ 1,3 miliardi, di cui qualcosa come 1,03 miliardi di dollari, proverrà da LINN.

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Eni, accordo con Rosneft per i giacimenti artici

 Eni ha deciso di affidarsi alle fredde temperature artiche per i suoi ultimi business: l’intesa che è stata sottoscritta dall’Ente Nazionale Idrocarburi insieme alla compagnia russa Rosneft punta infatti con decisione ai campi che sono stati scoperti nel Mare di Barents e alle zone del Mar Nero, una cooperazione che si spera possa essere fruttuosa. Secondo quanto affermato da Paolo Scaroni, amministratore delegato del gruppo, la partnership in questione dovrebbe riguardare anche il continente europeo e quello americano. Entrando maggiormente nello specifico, occorre sottolineare come i due blocchi coinvolti in maniera congiunta saranno quelli di Tsentraln-Barnetsevsky e di Fedynsky, mentre il deposito presente nel Mar Nero dovrebbe contribuire al recupero di riserve per un totale di ben trentasei miliardi di barili (il che equivale a un consumo totale di petrolio per un periodo di quattordici mesi).

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Petrolio: utilizzare le riserve strategiche?

 Gli Stati Uniti non hanno apertamente fatto appello ai paesi membri del G20 perché attingano alle riserve strategiche di petrolio, secondo quanto si è appreso dai leader del G20 i cui ministri delle finanze e banchieri centrali si sono riuniti questo fine settimana a Città del Messico. Ma gli USA ritengono che l’impennata dei prezzi dell’oro nero, alimentata dalle tensioni tra Iran e Occidente attorno alle ambizioni della repubblica islamica e al controverso programma nucleare, rappresenti un serio rischio per l’economia globale.

Lo stesso Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha voluto mettere in guardia contro tale minaccia. Le nuove sanzioni che si annunciano contro l’Iran, provenienti dagli Stati Uniti e dall’Unione europea hanno già costretto alcuni paesi a ridurre i propri acquisti di petrolio iraniano.

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Fondi sauditi per salvare l’Europa?

 L’Arabia Saudita ha giocato un “ruolo importante” nello stabilizzare il mercato del petrolio e nel sostenere l’economia globale, ha detto Sabato il direttore del Fondo monetario internazionale (FMI), Christine Lagarde, dopo i suoi colloqui con i leader sauditi.

“Questo impegno costruttivo (a livello) regionale e globale riflette il ruolo dell’Arabia Saudita nella veste di leader non solo nel mercato petrolifero, ma anche nella regione e nell’economia mondiale”, ha reso noto in una dichiarazione dopo la sua visita nel Regno, la prima dalla sua nomina a capo dell’FMI.

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Incognita iraniana sul mercato petrolifero

 Le prossime settimane saranno cruciali per capire quali saranno i trend dei prezzi petroliferi nel breve – medio termine: l’attenzione si concentra ovviamente sull’Iran e sulle recenti minacce di intervenire sullo stretto di Hormuz, che hanno immediatamente suscitato la reazione degli U.S.A. Tale situazione, caratterizzata da un certo livello di incertezza, spalanca naturalmente le porte alla speculazione.

Prescindendo dall’evoluzione della situazione iraniana, va sottolineato che attualmente il mercato del petrolio si trova in una situazione in cui l’offerta globale è in crescita mentre la domanda appare in via di raffreddamento: in particolare, secondo i recenti dati pubblicati dal Dipartimento U.S.A. dell’Energia, la domanda americana di greggio nell’ultima settimana del 2011 è stata la più bassa rilevata nel periodo in esame nel corso degli ultimi 14 anni.

Nonostante questo, il prezzo del petrolio si mantiene a livelli tendenzialmente alti: è qui entrano in gioco i timori legati all’evoluzione dello scenario iraniano; in prospettiva, appare prossimo un embargo UE, che però verrà applicato in modo graduale e su tempi relativamente lunghi, così da permettere l’apertura di nuovi canali diplomatici e nel frattempo di chiudere i contratti già in essere coi relativi pagamenti (un esempio è quello delle collaborazioni tecniche offerte all’Iran dall’ENI).

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